???main.contenutipagina??? | ???main.menuprincipale??? | ???main.ricerca???

1864 - 1973 Imposta di ricchezza mobile

1964-1972-impostariccmobile

Era un'imposta diretta, speciale e personale che si basava sulla dichiarazione dei redditi che ogni contribuente era tenuto a compilare. Nella dichiarazione si dovevano indicare tutti i redditi non fondiari (questi ultimi erano assoggettati separatamente all'imposta fondiaria). I redditi da sottoporre ad imposizione erano i seguenti: i redditi ipotecari, gli stipendi, le pensioni, gli assegni di qualsiasi specie, i redditi provenienti da benefici ecclesiastici e i redditi industriali, commerciali e professionali, e, in generale, ogni specie di reddito non fondiario che si produceva nello Stato, o dovuto da persona domiciliata o residente nello Stato. Nei riguardi della tassazione i redditi erano divisi in tre categorie, a seconda della natura di essi, e colpiti in una misura decrescente.

Nella prima categoria rientravano i redditi perpetui e quelli dei capitali dati a mutuo, la seconda ricomprendeva i redditi temporanei misti nei quali concorrevano capitale e mano d'opera (industria e commercio), mentre la terza annoverava i redditi temporanei nei quali concorreva la sola opera dell'uomo (redditi professionali e stipendi) e quelli in cui concorrevano i vitalizi e le pensioni.

All'imposta di ricchezza mobile furono assoggettati anche i redditi provenienti dall'industria agricola esercitata da persone estranee alla proprietà del fondo. L'imposta non doveva mai superare il 10 per cento del reddito netto del contribuente.

La tassazione della ricchezza mobiliare era la più svariata negli Stati preunitari. Nel Regno Lombardo-Veneto, ad esempio, al contributo arti e mestieri si affiancò l'imposta sulla rendita, che colpiva il reddito netto prodotto dal contribuente. Nello Stato Pontificio, i comuni imponevano un'imposta personale di focatico la quale non era regolata uniformemente. Nel Granducato di Toscana vigeva la tassa di famiglia, che colpiva qualunque reddito mobiliare o immobiliare. Nel Regno delle Due Sicilie fu stabilita una ritenuta del 10 per cento sugli stipendi, sulle pensioni e sugli assegnamenti.

Immediatamente dopo l'unità d'Italia, la Commissione Finanze della Camera iniziò a discutere il progetto di estendere a tutto il Paese il sistema impositivo del Regno di Sardegna, dove era in vigore l'imposta personale e mobiliare e dove vigeva anche l'imposta dell'1 per cento sugli stipendi degli impiegati pubblici. I lavori della commissione si protrassero tra il 1861 e il 1862, e la relazione finale fu presentata il 1° marzo 1862, prospettando l'abbandono del vecchio principio piemontese della misurazione del reddito su basi unicamente presuntive come anche adottato dai sistemi in vigore in Francia e nel Regno Unito, e ponendo così le fondamenta per l'introduzione delle dichiarazioni dei redditi. Su iniziativa di Quintino Sella, Ministro delle Finanze del governo guidato da Marco Minghetti, la prima versione dell'imposta di ricchezza mobile fu approvata dalla Camera il 30 gennaio 1864 ed entrò in vigore il 14 luglio 1864 con la legge n. 1830, lo stesso giorno in cui fu approvato il conguaglio provvisorio dell'imposta fondiaria.

Il successivo T.U. 24 agosto 1877, n. 4021, delineò in maniera organica i presupposti dell'imposta. In base all'art. 2 del T.U. erano considerati soggetti passivi tutti coloro, persone fisiche o giuridiche, o semplicemente enti di fatto, e tanto cittadini quanto stranieri, che nei singoli casi la legge tributaria considerava come possessori di redditi soggetti all'imposta.Il successivo art. 3 illustrava, invece, il concetto di reddito esistente nel territorio dello Stato e di territorialità dell'imposta [1]. In seguito, il R.D.L. 16 ottobre 1924, n. 1613, elencò i singoli redditi sottoposti al tributo, distinguendoli in redditi di capitale, redditi misti di capitale e lavoro e redditi di lavoro, da cui risultava che le energie produttive di redditi imponibili altro non erano se non il capitale e il lavoro, siano essi combinati o considerati singolarmente.

L'imposta fondiaria colpiva soltanto il reddito dominicale e non il reddito agrario. Con R.D. 4 gennaio 1923, n. 16, fu assoggettato ad imposta di ricchezza mobile il reddito agrario che il proprietario ritraeva dalla coltivazione del suo fondo, tanto se eseguita direttamente (in economia), quanto se col sistema della mezzadria o colonia, nonché il reddito del mezzadro o colono. In seguito, il R.D.L. 4 aprile 1939, n. 589, dispose che il reddito agrario era costituito dal reddito del capitale d'esercizio e del lavoro direttivo, quale risultavano dalla formazione delle tariffe d'estimo, escluso il reddito del lavoro manuale da chiunque prestato. A tale scopo si determinarono apposite tariffe di reddito agrario riferibili all'unità di superficie di ogni qualità e classe.

Questi principi fondamentali dell'imposta di ricchezza mobile sono rimasti inalterati fino agli anni Cinquanta.

Successivamente il D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Testo Unico delle leggi sulle imposte dirette), modificò sostanzialmente la vecchia legislazione riguardante la ricchezza mobile.

La riforma tributaria del 1973 abolì l'imposta sulla ricchezza mobile.


[1] La lettera a) considerava tali quelli iscritti negli uffici ipotecari o altrimenti risultanti da atti pubblici nominativi fatti nello Stato stesso. La lettera b) indicava gli stipendi pagati in qualunque luogo e da qualunque persona per conto dello Stato e altri enti. La lettera c) dava rilievo al luogo di produzione del reddito e, quindi, assoggettava all'imposta i redditi derivanti da industrie, commerci, impieghi e professioni esercitate nel territorio dello Stato.